mercoledì 20 marzo 2013

Ti farò male più di un colpo di pistola.


Il tutto è avvenuto in modo rapido, svelto.
Dolorosamente inatteso.

- Sparale ad una gamba, vediamo se diventa più collaborativa.
Sparale. Adesso.
- No, per favore.

La supplica che cade nel vuoto di quella plancia affollata, piena di rumori, di voci furiose e di allarmi impazziti, in un inseguimento al cardiopalma nello spazio.
All'impatto del proiettile contro il ginocchio, però, tutto questo sparisce, risucchiato dal dolore lancinante che le annebbia la coscienza.
Un dolore così non l'aveva mai provato, fino ad allora.

La mente si annebbia, mentre cade sul pavimento in una pozza di sangue, sorretta da qualcuno che bendata non vede, un animale ferito che semplicemente si accascia su se stesso.
Inerme. Svuotata.

Le voci si fanno ovattate, confuse, se potesse vedere di sicuro sarebbe tutto sfuocato, traballante.
Al ritmo del sangue che pulsa dalla ferita, le rimbomba qualcosa nelle orecchie - il suo cuore galoppa impazzito, minacciando di sfondarle le costole. O forse sono solo i suoi singhiozzi terrorizzati.


- Michael, ma sei matto?!
L'unica volta che aveva visto un'arma così da vicino, fino ad allora.
Aveva tredici anni, suo fratello giusto uno di meno.
Aveva l'avventata sfrontatezza di chi è rimasto senza madre solo sei anni prima, quando era un fanciullo ancora in boccio che si è visto strappare la linfa vitale da un male crudele, che l'ha logorata da dentro.
- Tranquilla, papà non mi ha neanche visto.
Lei lo guarda, seria.
Controllata, posata, come solo una bambina cresciuta da una donna di Elèria può essere.
- Dove l'hai presa?
Sogghigno strafottente, preadolescenza ribelle decisamente in anticipo.
- Fatti i cazzi tuoi.
Lei accoglie quella brusca risposta con un serrarsi delle labbra e un lampo nello sguardo verde.
Se ne va sbattendo la porta, senza voltarsi.

Le voci continuano, un alternarsi di veglia e svenimento costante.
Sinuoso, spire che stringono il cervello in una morsa e non la lasciano, se non per trasmettere altre stilettate di dolore che serpeggia lungo la gamba.
Ma la cosa che fa più male, in quel momento, sono le schegge d'orgoglio sul pavimento, fatto a pezzi con un unico colpo di pistola, a bruciapelo.


- Non ti riconosco più.
- E quando mai, Leen?
Velenosa la replica, quello che si trova davanti adesso è un giovane uomo, fatto e finito. Di anni ne son passati altri sei da quel giorno, e lo spavento di quel pomeriggio non l'è mai passato del tutto.
- Come puoi fare questo a papà, a ..
- Non nominarla.
Secco, come un colpo di pistola.
Sospira, la fissa, si guarda i piedi e non sa che fare.
- Scusami.
Lei sorride appena, timorosa, cogliendo al volo quello spiraglio che il fratello le ha concesso nella sua corazza fatta di assordanti silenzi e urla.
- Va bene.

Sente solo le urla di giubilo, chi stava inseguendo quella nave che la tiene prigioniera - forse - ha finalmente desistito. Non volevano farla morire, probabilmente, o magari non volevano semplicemente avercela sulla coscienza. Nessuno, ha mai voluto averla sulla coscienza.
Non sente più niente, nel dolore che le attanaglia il ginocchio ormai a pezzi.

- Fa..
Non.
- Tanto..
Devo.
- Male.
Implorare.

L'unica volta che aveva visto da vicino una pistola era stato sedici anni fa.
Chissà quante ne starà maneggiando adesso, il fratello perduto.
Avrebbe voluto rimanesse quella, l'unica volta.