lunedì 22 aprile 2013

Uno, nessuno, centomila.


Huck Haggerty è una strana persona.
Giuda traditore.
Venderebbe sua madre, probabilmente, se ciò gli permettesse di salvarsi la vita dalle varie fazioni a cui ha voltato le spalle o che ha deciso che non facevano più al caso suo.
Gran baciatore.

La notte del loro primo incontro lui era Mike l'accompagnatore - luci rossastre e whiskey a fiumi.
Hanno giocato alla menzogna, a raccontarsi storie brindando a sconosciuti nei bar. Aileen - che quella sera era Kate - gli rubò un bacio e una spilla, piccoli trofei per l'ego e per l'altro uomo a cui faceva riferimento. A cui aveva promesso un aiuto, in qualche modo - nel modo che conosce meglio, aprire le gambe e sfarfallare le ciglia.
Il Karma, tuttavia, ha deciso che quell'incontro non era stato casuale. Non era stata rimorchiata a caso dall'ubriacone di turno. Si sono rincorsi e trovati casualmente, volta dopo volta - bacio dopo bacio.

Huck Haggerty è una strana persona, si ritrovò a pensare.
Naso pesto e sarcasmo pungente.
Dal passamontagna che pizzica le guance, poté guardarlo con occhio critico e pensare cos'avesse che l'attirava tanto, quel chimico stropicciato e faccia da schiaffi.
Occhi scuri e sorriso dolce. A volte.
Quella notte era Yue, davanti a lui. Quella dei Bounders - che suggerisce di mozzargli la lingua solo perché l'ha usata a sproposito.
Alle volte si chiede se davvero non abbia più personalità che combattono dentro di lei, per emergere. Che il rapimento ha sguinzagliato a piede libero nei recessi della sua coscienza.

Huck Haggerty è una strana persona.
Cicatrici e guai.
La notte alla stazione in cui le ha detto di no - "Perché ti odio ma anche un po' il contrario" - a cui sono seguite altre giornate, altre parole. Altri sguardi.
Sangue sul muro e urla di disprezzo - di lui di lei non si sa.
Forse la verità è che davanti a quell'uomo si è vista in tanti troppi modi diversi. E quando per la prima volta si è vista come Aileen, si è sentita spiazzata.
Spezzata.
Huck rappresenta quella perdita di controllo che non può permettersi e che tuttavia brama con tutta se stessa. Già il suo uomo gliel'aveva scardinato, pezzo per pezzo, con violenza - l'uomo che c'è e comunque rimane, in fondo ai suoi occhi verdi.


Kate Yue Aileen.
Mille maschere per non voler più trovare se stessa.

Era Kate la prima notte - sibillina maliziosa, la fantasia che qualsiasi uomo avesse voluto trovarsi davanti.
Era Yue quella famosa sera - e avrebbe voluto non scoprire che il traditore della loro famiglia fosse proprio l'uomo che continuava ad intrufolarsi nel suoi pensieri.
Era Aileen, solo e semplicemente Aileen, quella notte di litigi e sangue - e baci e sospiri e unghie nella schiena. E spinte. Dove arrendersi e confessare diventano la stessa cosa.

lunedì 15 aprile 2013

Ballata in Fa Diesis Minore.

Bianco.
Se Aileen Ward dovesse ricordare qualcosa della morte della madre, direbbe un colore: bianco.

Bianco delle lenzuola bianco dei fiori bianco del volto bianco dei vestiti al funerale.
C'era poi quell'odore di disinfettante e mandorle amare, nei costosi corridoi degli ospedali di Elèria. Talmente penetrante che ha continuato a sentirlo per settimane, impregnato nei vestiti, nei capelli.
Nel cervello.
Anche quello, lo associava inconsciamente al bianco.
Il Buddhismo usa l'assenza di colore più luminosa, per i suoi funerali. Usa piccoli sassolini tondi da posare sulle tombe, un pensiero che il defunto possa portare con sé ovunque sia diretta la sua anima. I saggi dicono che senza quei sassolini - pensieri dolci di chi ha lasciato indietro - l'anima non sarebbe ancorata alla terra e non potrebbe più reincarnarsi.

Aileen aveva solo otto anni - abbastanza grande per ricordare ma abbastanza piccola per non capire.
Indossava un bel vestitino bianco di foggia orientale, una macchia d'erba sull'orlo che nessuno era mai riuscito a tirare via. Teneva suo fratello, in lacrime, per mano.
Seria, sul visetto da bambina.
Seria perché ancora non capiva come la sua mamma potesse essersene andata in meno di due mesi - sempre più magra sempre più bianca. Non capiva come mai suo padre potesse abbracciare sconosciuti, senza versare una lacrima. Certo, le era stato detto che non doveva piangere, che i pensieri cattivi avrebbero potuto rendere difficile il viaggio dell'anima di Jacqueline verso la reincarnazione. E così lei faceva - obbediente come sempre.
Ma mentre Michael singhiozzava accanto a lei, davanti alla lapide - bianca - di sua madre, non capiva come si potesse chiedere a coloro che l'avevano tanto amata di non piangere.
Non l'avrebbe mai capito, neanche negli anni a venire. Ma come molte cose nella sua vita, ha dovuto adeguarsi.

Nero.
Se Aileen Ward dovesse associare un colore a ciò che sta succedendo adesso nella sua vita, sarebbe proprio questo.
Neri gli occhi di Katerina - bui e profondi, occhi da bestia ferita - mentre la guarda assente, vuota. Disperata, nei suoi silenzi strazianti, nei movimenti meccanici, nel ripetere parole come nenie quasi fossero consolatorie e riempissero l'abisso che la morte del suo uomo ha spalancato in lei.
Nera l'espressione di Fenix - rosso di sangue e vetri sul bancone del bar.
Togliere frammenti e schegge dalla carne come se non ci fosse altro modo di lenire le sue sofferenze.
Nera la cronaca sotto cui è finito l'accaduto, relegato come una delle tante notizie che nessuno mai si aspetta parlino di qualcuno che si conosce. E invece arrivano, come una fucilata.

Tutti gli uomini devono morire, recita un saggio detto.
Il respiro però manca all'improvviso quando questo succede in una notte - nera - senza che nessuno abbia salutato per l'ultima volta colui che il fato ha chiamato a sé.
Aileen, tuttavia, la pensa diversamente.
E' meglio perdere qualcuno in una notte senza luna, con un assassino senza volto, piuttosto che guardare lentamente morire una madre in un letto bianco - rosso sangue sul cuscino - e sapere benissimo cosa la sta uccidendo.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro a quel pomeriggio di venti anni fa, davanti a quella tomba, e piangere tutte le sue lacrime assieme a suo fratello.
Anche se, purtroppo, non sarebbe servito a nulla.

mercoledì 10 aprile 2013

Di uomini e guai.


La presa di quella mano, sulla parte bassa della sua schiena nuda, era salda e prepotente.
Aileen si trovò a fissare negli occhi l'ennesimo cliente, all'ennesimo ballo dell'ennesima serata.
Ennesima noia.
Lo scollo del lungo vestito orientale - vertiginoso sulla schiena flessuosa - lasciava ben poco all'immaginazione, e il suo attuale accompagnatore pareva intenzionato a coprire con la mano quanta più pelle possibile da sguardi indiscreti.
E dire che stavano ballando nel centro della sala, immersi nel chiacchiericcio della folla danzante assieme a loro, in un turbinio di stoffe, colori e bollicine - risate maligne dietro bicchieri di cristallo.
L'apparenza di cui si era sempre ammantata la società del Core era puro oro placcato, scintillante e di gran classe. Ciò che ci stava sotto, nella maggioranza dei casi, era feccia.
I polpastrelli del suo compagno, appena ruvidi sulla pelle liscia, la strinsero ancora, avvicinandola ulteriormente in un'aggraziata giravolta sul posto, riducendo qualsiasi distanza; lei si costrinse ad un sorriso, quando in realtà avrebbe voluto solo staccarsi e dirigersi senza più riflettere dal primo cameriere vagante e relativo vassoio di alcolici e affogare quella serata cominciata sotto i peggiori auspici.


Gli uomini della sua vita sono sempre stati un'accozzaglia di estremi non ben definita.
Suo padre aveva la fissa delle bestie feroci, quasi un'ossessione - guarda la tigre negli occhi, Aileen, senza paura, 'ché loro l'annusano.
Forse è stato per questo che sua madre s'innamorò di lui, forse vi trovò lo stesso indomabile spirito. Ci voleva solo un'altra anima affine per spegnere il fuoco di Darren Ward.
Suo fratello Michael, il dispiacere più grande che un padre possa mai avere, era forse peggio.
Fiero, orgoglioso, strafottente.
Credeva che ogni cosa, in quella parte del 'Verse, fosse sbagliata: troppo stretta, troppo facile.
Troppo dolorosa.

In quella serata, dove la sua bocca rossa sorrideva forzatamente all'uomo che la stringeva tra le braccia, si trovò a considerare che forse aveva scelto il mestiere di Accompagnatrice perché in realtà lei con gli uomini non ci sapeva proprio fare; non da un punto di vista emotivo, di certo.
Credeva che fossero tutti come suo fratello - arroganti e tormentati - o come suo padre - dolci ma assenti.
Le piaceva avere sempre il controllo della situazione, in qualsiasi situazione; i sentimenti, nel suo lavoro, non erano compresi. Poteva essere la fantasia di una giornata o l'incubo di una notte, ma qualunque cosa volesse da lei il cliente - diplomazia sesso chiacchiere - doveva essere rapida.
Senza traccia alcuna.

Purtroppo, si trovò a considerare distogliendo lo sguardo verde oltre la spalla del suo ballerino, ultimamente le cose le stavano completamente sfuggendo di mano.


Quando fu abbastanza grande dal poter essere considerata interessante agli occhi maschili, si trovò quasi spiazzata dal suo non esserlo affatto nei loro confronti. Troppo impegnata a studiare, ad evadere da quella realtà che le stava diventando quasi insopportabile, soffocata dai due uomini della sua vita impegnati a farsi la guerra. Quella stessa Guerra che nel frattempo già dilaniava il loro mondo a sufficienza, vissuta di sfuggita nei palassi di Elèria, nelle pagine in cui le si rifugiava.

Gli uomini erano, e sono sempre stati per lei, svaghi momentanei, infatuazioni passeggere.

Meri oggetti di un desiderio che brucia rapido e ancor più svelto si consuma nei sospiri di una notte di sesso.

L'amore - quello che sua madre le aveva così tanto raccontato di provare per suo padre, sempre e comunque - era molto lontano dalla sua concezione di "relazione", qualcosa di così astratto da poterlo a malapena concepire.

La musica si fermò all'improvviso, così i passi del suo sorridente cliente. La presa rimase ancora qualche istante, salda e possessiva, prima di lasciarla andare con delicatezza.
- Siete una ballerina formidabile, Miss Ward.
Sorridi e annuisci.
- Anche lei Mr. Lockwood. Mi scusa un attimo?
Fuggi e sorridi.
Il ticchettio dei tacchi, verso la veranda della villa.
Inspira, espira.

L'aria fresca di una delle tante sere di Horyzon, pelle d'oca sulla pelle nuda, fu quasi un sollievo dopo il chiacchiericcio penetrante, il calore avvolgente di quella sala piena di balli e alta società.
Il momento in cui smette di essere mostrata agli altri come un trofeo dal braccio di qualcuno.



- Perché ti odio, ma anche un po' il contrario.

Si rabbuiò appena, sospirando amaramente.
Non avrebbe più permesso che l'ennesimo uomo le scombinasse la testa. Il suo uomo di St. Andrews - la passione sopita che si risveglia, e non dovrebbe - era lontano. E l'altro uomo, quello dal sarcasmo sempre pronto ma lo sguardo gentile, le aveva già detto di no.

E allora perché, perché continuava a pensarci?
La bocca rossa si strinse una linea dura - purpurea, quasi avesse bevuto dello sciroppo di amarene. La bocca di una Madonna. No, quella di una puttana.
Avrebbe soffocato i suoi pensieri nelle spinte di quell'uomo da cui stava rientrando, dopo il suo attimo di pausa.
Del resto, Aileen Ward sapeva fin troppo bene quale e quanta imperfezione era necessaria per provare un sentimento vero. Quanta onestà c’era negli errori e quanta umanità nel pagarli.
E questo, non se lo poteva più permettere.