lunedì 15 aprile 2013

Ballata in Fa Diesis Minore.

Bianco.
Se Aileen Ward dovesse ricordare qualcosa della morte della madre, direbbe un colore: bianco.

Bianco delle lenzuola bianco dei fiori bianco del volto bianco dei vestiti al funerale.
C'era poi quell'odore di disinfettante e mandorle amare, nei costosi corridoi degli ospedali di Elèria. Talmente penetrante che ha continuato a sentirlo per settimane, impregnato nei vestiti, nei capelli.
Nel cervello.
Anche quello, lo associava inconsciamente al bianco.
Il Buddhismo usa l'assenza di colore più luminosa, per i suoi funerali. Usa piccoli sassolini tondi da posare sulle tombe, un pensiero che il defunto possa portare con sé ovunque sia diretta la sua anima. I saggi dicono che senza quei sassolini - pensieri dolci di chi ha lasciato indietro - l'anima non sarebbe ancorata alla terra e non potrebbe più reincarnarsi.

Aileen aveva solo otto anni - abbastanza grande per ricordare ma abbastanza piccola per non capire.
Indossava un bel vestitino bianco di foggia orientale, una macchia d'erba sull'orlo che nessuno era mai riuscito a tirare via. Teneva suo fratello, in lacrime, per mano.
Seria, sul visetto da bambina.
Seria perché ancora non capiva come la sua mamma potesse essersene andata in meno di due mesi - sempre più magra sempre più bianca. Non capiva come mai suo padre potesse abbracciare sconosciuti, senza versare una lacrima. Certo, le era stato detto che non doveva piangere, che i pensieri cattivi avrebbero potuto rendere difficile il viaggio dell'anima di Jacqueline verso la reincarnazione. E così lei faceva - obbediente come sempre.
Ma mentre Michael singhiozzava accanto a lei, davanti alla lapide - bianca - di sua madre, non capiva come si potesse chiedere a coloro che l'avevano tanto amata di non piangere.
Non l'avrebbe mai capito, neanche negli anni a venire. Ma come molte cose nella sua vita, ha dovuto adeguarsi.

Nero.
Se Aileen Ward dovesse associare un colore a ciò che sta succedendo adesso nella sua vita, sarebbe proprio questo.
Neri gli occhi di Katerina - bui e profondi, occhi da bestia ferita - mentre la guarda assente, vuota. Disperata, nei suoi silenzi strazianti, nei movimenti meccanici, nel ripetere parole come nenie quasi fossero consolatorie e riempissero l'abisso che la morte del suo uomo ha spalancato in lei.
Nera l'espressione di Fenix - rosso di sangue e vetri sul bancone del bar.
Togliere frammenti e schegge dalla carne come se non ci fosse altro modo di lenire le sue sofferenze.
Nera la cronaca sotto cui è finito l'accaduto, relegato come una delle tante notizie che nessuno mai si aspetta parlino di qualcuno che si conosce. E invece arrivano, come una fucilata.

Tutti gli uomini devono morire, recita un saggio detto.
Il respiro però manca all'improvviso quando questo succede in una notte - nera - senza che nessuno abbia salutato per l'ultima volta colui che il fato ha chiamato a sé.
Aileen, tuttavia, la pensa diversamente.
E' meglio perdere qualcuno in una notte senza luna, con un assassino senza volto, piuttosto che guardare lentamente morire una madre in un letto bianco - rosso sangue sul cuscino - e sapere benissimo cosa la sta uccidendo.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro a quel pomeriggio di venti anni fa, davanti a quella tomba, e piangere tutte le sue lacrime assieme a suo fratello.
Anche se, purtroppo, non sarebbe servito a nulla.

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