sabato 22 giugno 2013

Diario di un Contrabbandiere #1

Albany, Gura Vaai, 2515

L'uomo dalla barba ispida - 'ché da quelle parti non era obbligato ad usare rasoi - continuò  guardare ipnotizzato lo schermo sbeccato del c-pad stretto in mano. Non era suo, ovviamente; andarsene da Elèria significava tagliare completamenti i ponti con qualsiasi mezzo l'avesse reso raggiungibile, da chiunque.
- Ward, porco cazzo, hai finito di usare il mio fottutissimo c-pad?
Il suddetto interpellato schiocca la lingua sul palato, mimando un gestaccio non propriamente educato.
- 'Fanculo Kaleshi, lasciami leggere in pace.
La risata sguaiata gli ferì le orecchie, punto sul vivo.
- Queste usanze da Corer sono solo stronzate.

Ben Kaleshi aveva un accento sporco, macchiato di influssi slavi probabilmente, un retaggio duro e aspro della Terra-che-fu. Aveva le dita macchiate di polvere da sparo e tre denti d'oro, che numerosi contrabbandieri di Albany avevano tentato di cavargli innumerevoli volte.
Senza successo.
Michael l'aveva incontrato per caso, dopo un volo di sola andata per il Sistema Columba.
Senza voltarsi indietro, in una notte senza luna.
Gura Vaai è una città minuscola; a percorrerla a piedi non ci vogliono che cinque minuti, tra strade polverose e case dai muri screpolati, assetate come le capre che masticano inutilmente fili d'erba secca.
Se Dio sputasse sulle brulle distese di Albany, probabilmente farebbe comunque fatica a crescere qualcosa che non siano uomini disperati e affamati, che il 'Verse intero ha dimenticato.
Ben Kaleshi è nato e cresciuto a Gura Vaai; ha fatto suo il Regno delle Grotte Est, insenature abbastanza grandi e profonde da poter diventare magazzini e scrigni di tesori, razzie da Polaris a Dào a bordo di un Brigade abbastanza mal messo da guadagnarsi il nome di «quella troia di mia madre»: Kesha.
Michael non aveva mai capito se l'epiteto fosse effettivo o semplice spregio per colei che l'aveva messo al mondo; nel dubbio, come aveva imparato fin troppo presto, non aveva fatto domande.
Ben aveva l'insana dote di trovare sempre nuovi guai, o nuove risse, nelle quali andarsi ad infilare a testa bassa. Si da il caso che Michael si fosse giusto trovato in mezzo ad un regolamento di conti, nell'unica bettola che osava chiamarsi "locale" in quel della cittadina.
Un paio di boccali rotti, parole grosse, qualche pugno.
Kaleshi l'aveva raccattato dietro un tavolo rovesciato, un occhio nero e un labbro spaccato, ma l'aria del cucciolo esaltato che non ha mai voluto altro nella vita che azzuffarsi con gli altri cani randagi.
- Puzzi di Corer lontano un miglio.
- E tu puzzi di piscio di cavallo.
- Cazzo, ecco cos'era, pensavo che il vecchio mi avesse svegliato con una secchiata!

Dall'offrirgli un posto dove passare la notte finché non l'avesse rispedito a calci sulla prima nave diretta al Sistema Central«tanto non hai un cazzo di soldi» - al farsi persuadere a "prenderlo in prova" come assistente, il passo era breve.
Tuttofare. Puliva i cessi del Kesha, in ginocchio, si spaccava la schiena come non aveva mai dovuto fare in vita sua. E non avrebbe voluto chiedere di meglio.
Assisteva Ben nelle varie trattative, poteva usare tutte le armi che voleva, senza doverle più nascondere sotto il letto in una vecchia scatola. Se non avevi un'arma, su Albany, eri un morto che camminava.

- Ben, conosci qualche Indipendentista?
- Ce ne hai uno davanti.
- Ma io dico uno che la Guerra la voglia combattere.
Aveva diciannove anni e il fuoco dell'adolescenza quando cominciarono a sussurrare, nei salotti di Yindù, che l'Alleanza voleva unificare il 'Rim.
E a lui era sembrata una bestemmia.
Due anni dopo se n'era andato, l'idea era quella di arruolarsi tra le file dei Browncoats, ma la Campagna Invernale con la spietatezza delle trincee l'aveva visto rintanato in una spelonca di quel Pianeta dimenticato da Dio ad ascoltare i vaneggiamenti di un contrabbandiere.
Lui, che aveva lasciato il mondo in cui era cresciuto solamente per poterla combattere, quella Guerra.
La risata dell'uomo di Albany era la più aspra che Michael avesse mai sentito.
- Quei soldatini della minchia non capiscono che l'Alleanza ha già vinto.
- Ma se la pensi così, allora davvero non vinceremo.
Il luccichio dei suoi denti d'oro era stato come un pugno nello stomaco.
- Noi siamo gli sciacalli, Ward. Noi raccogliamo i cadaveri e ne ricaviamo profitto.
Balleremo sulle loro tombe, sulle loro croci nere.
Ma questa è un'altra storia.

Incantato a fissare quegli occhi verdi dallo schermo digitale, così simili ai suoi - da quando l'è venuta quella fossetta sulla guancia sinistra, come la mamma? O l'ha sempre avuta?
Lo sguardo rapace dell'uomo dietro di lui lo fece sobbalzare bruscamente, prima di togliere il c-pad dalla portata della sua occhiata.
Ma Ben Kaleshi non molla la presa. Mai.
- E' fuori dalla tua portata, Ward. E' una puttana del Core.
- Accompagnatrice.
Il contrabbandiere rise nuovamente, implacabile.
- Chiamale come vuoi, restano puttane. Anche se si fanno pagare più di quanto il mio vecchio prendeva in un anno a sputar sangue in questi campi in cui non ci cresce nulla neanche a sanguinarci sopra.
Michael non rispose e Ben si trascinò via, borbottando qualcosa riguardo al loro prossimo affare; perché sì, un soldato non lo era mai diventato quel giovane ragazzo pieno di speranze.
Era rimasto inchiodato su Albany, al Brigade e a Ben Kaleshi.
Era diventato un contrabbandiere, una canaglia, la feccia del 'Verse.
Ben lontano da quegli eroi dal cappotto marrone che sognava di seguire in battaglia.
Abbassò nuovamente lo sguardo - un'ultima volta per favore - sull'articolo che parlava di una certa Aileen Ward, astro nascente della Nobile Casa di Horyzon.
Passò le dita ruvide sull'immagine, prima che questa si spegnesse in un tremolio di pixel.
Non era tempo di ricordi.
Il passato non porta denaro, Ward, e io non ti pago per rimuginare sopra tua sorella - gli avrebbe sbraitato Ben, se solo avesse saputo.
Ma no, Kaleshi non sapeva. E non avrebbe mai dovuto saperlo.
Gli scheletri nell'armadio di Michael Ward erano troppo ingombranti, in quella parte di mondo, per essere anche solo prudente pensare a quella giovane donna che aveva lasciato indietro, ormai troppi anni fa.



martedì 18 giugno 2013

Davanti allo specchio.

La ragazza dalle labbra rosse e dagli occhi verdi che la stava guardando da quello specchio era una sconosciuta - una bellezza in porpora e oro.
Non ricordava più l'ultima volta che si era concessa una dormita decente, un pensiero allegro, una risata leggera. L'amarezza le si era impressa a fondo nella piega della bocca - quelle labbra che erano croce e delizia di molti - nelle occhiaie livide sulla pelle candida, come se qualcuno - la Vita - l'avesse presa a pugni. E forse, l'ha fatto davvero.
Le dita affusolate passano distrattamente sul colletto del sari, sullo scollo, al cui interno sono marchiate due iniziali che per quella sera, per quella notte, l'avrebbero resa proprietà di qualcun altro.

E. W.
You look like a flower, and I can be you're thorns.
Seta rubino quasi liquida sotto i polpastrelli, talmente soffice che la paura si sgualcirla supera la meraviglia nell'indossare un simile abito.
Ma non erano state le sue, di mani, a violarle la carne sotto la stoffa.

« Come mi sta? »
« Preferisco senza. »

Passare la notte con la Rossa - « Ma tu non puoi toccarmi. » -, danzare con il Diavolo senza quasi avere il coraggio di guardarla negli occhi mentre fa deliziosamente scempio degli ultimi brandelli di contegno si fosse imposta di mantenere.
Una tenerezza così dolorosa da spezzarle le ossa e la coscienza.
Avrebbe dovuto saperlo che Electra Williams non chiede, pretende. E il prezzo per il corpo di Aileen non è neanche paragonabile a quello della sua anima.

« Vogliamo qualcosa che sappiamo ci farà male e lo vogliamo proprio perché ci farà male.
Non siamo poi tanto diverse io e te.
Nessuna donna si metterebbe dalla parte del suo carnefice,
 se non avesse profondi e radicati motivi per farlo.
 
»

Aggrotta le sopracciglia finemente disegnate davanti al suo riflesso, il placido rumore della cascatella artificiale nel giardino del lussuoso resort di Corona è l'unica cosa che incrina il suo silenzio.
Se solo nella sua testa ce ne fosse almeno un po', di quella quiete.

La sfilata della Starlux&Co., quella sera, l'avrebbe coperta di gioielli - Rhodonite Stellata - e di sguardi, l'ennesimo divertimento corer vuoto e scintillante.
Gli stessi gioielli che ha venduto alla sua Famiglia, di nascosto - un assalto al carico di ritorno da Corona di cui lei stessa sarà la mente appena terminata la sfilata.
Lupi famelici acquattati nel buio dello spazio.
Avrebbe voluto semplicemente aggrapparsi al suo, di Lupo, e farsi trascinare via da qualche parte, senza fare domande; nascondersi nell'incavo del suo collo - barba bionda che punge e solletica le ciglia - e non guardare più in faccia questo 'Verse che la sta sballottando da un Pianeta all'altro, da un letto ad un altro. Una grande e grottesca giostra, impazzita.
Dammi la Pace in questa vita di Guerra, che non ha Browncoats ma solo ginocchia sbucciate e cuori infranti, sguardi neri in cui sono stanca così stanca di affogare.

Per la prima volta nella sua vita Aileen Ward, davanti a quello specchio, si chiese davvero cosa l'avesse trasformata in una 
«brutta persona», una donna pericolosa, una che ama ciò che può metterla nei guai e che, inconsciamente, li cerca in maniera così disperata da non accorgersi che ci è già immersa fino al collo. Qualsiasi cosa lei faccia.

[c-message]

A Sunset Tower gira voce che quelli della Almost Home potrebbero non avere preso bene il ruolo di Joe nell'arresto di Wright.
Sono solo supposizioni, ma ultimamente potrebbe essere pericoloso stargli vicino. Più del solito.
 
Stai attenta,
 
HH

Il tempismo di Haggerty, che sparisce una notte di luna - happycandy e amore in una nave vuota, felicità chimica e addii amari - per ricomparire in due righe digitali, che lei legge e rilegge per capire il perché di quell'avvertimento.
Credeva di esserci uscita, dalla sua vita - non ha ancora compreso per scelta di chi.
Credeva di aver finito con gli avvertimenti sibillini, ma puntualmente il chimico decide di barare sulle tacite regole che si sono scritti addosso negli anni e ricomparire, sempre.
Se lo dovrebbe aspettare da parte sua, l'imbrogliare col mazzo, eppure ogni volta rimane spiazzata - doloroso affetto su una ferita mai chiusa.
Vorrei solo sapere come lasciarti andare.

« Tieni per te che ti ho scritto,
Joe non apprezza che io mi intrometta nei suoi affari. 
»

Scegliere quali occhi neri guardare e a quali mentire.
Joe Black si è smarrito da qualche parte, dopo Fargate, e le ha riversato addosso un mare silenzioso, prudente, quasi che neanche lui sapesse bene cosa dirle quando la guarda negli occhi. Lo stesso Joe che le scriveva struggenti pensieri - che nessuno, nemmeno lei, pensasse potesse regalarle - adesso ha finito le parole. Per paura, per tristezza, perché le ha perse.
Forse la risposta non la vuole davvero conoscere, 'ché anche lei ha smesso di esprimersi se non toccandolo, quasi come se attraverso i polpastrelli potesse comunicargli tutto quello che non riesce a dirgli.

« Voglio darti un'alternativa, Leen. »

Blaze è l'unico che l'abbia chiamata così dopo suo fratello. L'unico che ha provato a capire il perché lei cerchi con così tanta cieca abnegazione di perdersi in qualcun altro - notte dopo notte -, dando un prezzo ai suoi sentimenti di modo da non doverli affrontare.
L'unico che le ha proposto un'alternativa - dolce ma infattibile.

Bussano alla porta della camera e lei sussulta, sfarfallando le ciglia che si sono improvvisamente inumidite - nero merletto sulla pelle candida.
- Aileen, andiamo?
- Arrivo.
Se sua madre la vedesse in quel sari - rosso lussuria - le sorriderebbe ammirata.
Se suo padre l'avesse vista guardare in faccia la tigre - che prima la abbandona in un vicolo di Sunset Tower e poi la ama in una notte di Horyzon - avrebbe gonfiato il petto d'orgoglio.
Se suo fratello la vedesse adesso, struggersi per un contatto e piangere in silenzio - rabbiosa - perché due paia di occhi neri le hanno mandato a gambe all'aria l'esistenza, le volterebbe le spalle e se ne andrebbe senza più guardarsi indietro.
Di nuovo, ancora, come sempre.

martedì 4 giugno 2013

Mantra.

Incontrare il lupo dagli occhi blu in una bettola di Maracay - Sangre Amargo.
Odore di spezie, di fumo, di umanità aggrovigliata assieme.
Il galoppare furioso del cuore contro le costole al ritmo del tamburo del percussionista strafatto nell'angolo, dei piedi scalzi della ragazza mulatta che ha cominciato a ballargli davanti sul pavimento sudicio.
L'incendiarsi del sangue al suo respiro contro l'orecchio - 
«Mi sto trattenendo dal baciarti.» - il posarsi di quelle labbra sulla sua bocca - un bacio di rum e promesse - prima di staccarsi e lasciarla assetata.
Infatuata.
Prendere la prima nave per Safeport, di Skyplex in scalo - sempre più lontano sempre meno navi - per andare a soccorrere l'uomo dagli occhi neri che pare diventato il fantasma di se stesso.
Immaginarsi, in quel tragitto nello spazio buio, stretta tra casse di carne secca armi e galline, cosa dirgli, come aiutarlo. Come fare per guardarlo e non trovarci uno sconosciuto, dietro quello
sguardo.

«Quella testa di cazzo si è sparato da solo, capisci? Si è sparato e ora non so nemmeno se sopravvive. Vedi di inventarti qualcosa.»

Aileen non sa più neanche come prenderlo, Joe Black, senza rischiare di farlo ancora più a pezzi - l'odore ferroso del sangue come un pugno al cervello.
Guardare il cortex in attesa di notizie, che arrivi un messaggio - qualsiasi parola ti prego dimmi qualcosa - da colui che ha smesso di farsi sentire da un po', ormai.
Che anche dopo quello che è successo - l'Unification Day la bomba l'esplosione - e il suo chiedergli se stesse bene e il pregare che non fosse a Cap City, ha ricevuto solamente una fredda risposta, che probabilmente le ha scritto perché la cortesia corer - quel chimico del cazzo - c'è l'ha nel sangue. E che forse, nei suoi panni, lei avrebbe fatto esattamente la stessa cosa.


«Se fosse così, allora neanche io sarei una brava persona. E forse hai ragione.»
«Forse ho ragione.»

Scoparsi Fenix in un corridoio di Hall Point, schiantare la bocca contro la sua e baciargli via qualsiasi replica avesse voluto darle - disperazione e lussuria. Quasi avesse sperato che perdersi ancora, come sempre, in qualcun altro avrebbe fatto andare via quel dolore pulsante annidato nel ventre, quel sapore amaro sulla lingua.

Lei non è era una brutta persona.
Un mantra che ha iniziato a ripetersi da quando Haggerty le ha insinuato questo dubbio, che serpeggia sottopelle e non ha intenzione di andarsene. E non bastano le unghie di qualcuno per grattarlo via, non basta l'umido di Maracay o la nebbia di Safeport.

Il suo Touzi le ha detto di lasciarla, questa vita - attrazione irrazionale per il pericolo. Forse è questo, il suo vero amore. Forse è genetica, forse il morbo che ha irretito suo fratello alla fine ha preso anche lei.
Vaffanculo, Michael Ward, ovunque tu sia.
Lei ci prova a smettere, ci prova con tutta se stessa.
E' questa vita che, da lei, non si vuol più staccare.