domenica 7 luglio 2013

Again and again.

Di nuovo.
Di nuovo quel ronzio insistente nell'orecchio - perforante doloroso alienante - che la costringe a fissare il soffitto con gli occhi sbarrati, le coperte gettate malamente di lato, 'ché l'aria di piombo di Greenfield sembra quasi appiccicarsi addosso, polverosa e implacabile.
Forse il ronzio è solo il chiasso del Saloon al piano di sotto - ti prego fai che non siano i miei pensieri.
Forse stava semplicemente cancellando rabbiosa quella linea tra l'autocontrollo e la voglia di esplodere.

Di nuovo un uomo - quello che doveva essere il suo uomo - le aveva voltato le spalle. Insultata, accusata, un processo alle intenzioni senza neanche possibilità d'appello alla giuria.
« Non hai saputo dargli il giusto significato, Aileen. Quello ormai è solo un oggetto qualunque. »
Un oggetto che lei stessa aveva lasciato cadere per terra, trattenendo le lacrime con tutta la disperata  violenza di cui era capace, senza neanche guardarlo perdersi nell'erba umida della rugiada della sera.
Questa volta era stato il suo turno, quello di andarsene senza più voltarsi - lacrime amare in una corsa a perdifiato sul sentiero sterrato.
Colui che le aveva offerto un'alternativa e malgrado lei stessa avesse tentato un compromesso - le Accompagnatrici non posso avere un'esclusiva -, gliel'aveva sbattuta in faccia, infuriato, sfogando la frustrazione di una verità che, forse, le avrebbe potuto confessare prima.
Avresti dovuto fermarmi, prima di farmi cadere.

Di nuovo Joe si era rifatto vivo, e non era servito a nulla leggere rileggere quel messaggio tentando di trovarci una ragione - un senso - per cui cancellarlo senza neanche pensarci.
« Lo so che non ne ho il diritto.
Lo so che il tuo mondo è estremamente lontano dal mio, adesso.
Lo so che ti ho fatto del male.

Ma mi sto spezzando a metà, Aileen. Ed ho bisogno di vederti. »

Uno dei grandi problemi di Aileen Ward - splendidamente umana - è che esistono persone a cui non riesce a dire di no; che le fanno dimenticare tutto il resto e annullarle qualsiasi cosa che non sia la disperata voglia di aiutarle come riesce, in qualche modo.
Forse, vorrebbe solo aiutare se stessa.
Ma come al solito, Joe Black appare e scompare come il vento capriccioso e irruento, scompigliandole i pensieri e i sentimenti senza riflettere.

Di nuovo aveva ceduto all'egoistica sensazione di sentirsi bene - di provarci, per lo meno - e aveva scritto ad Haggerty.
Patetica, disperata, innamorata.
Di nuovo era andata a sbattere contro un muro di silenzio, cupo e assordante. E si era odiata, nel silenzio di quella notte, per aver calpestato ancora una volta la sua dignità per il brivido di quattro parole di conforto.
Alzati Leen, non c'è più la mamma a consolarti.La voce perentoria di suo padre le pizzicò le orecchie, aggiungendosi a quel fastidioso ronzio.

Si alzò sbuffando dal letto, scalciando le coperte, perfettamente vestita - non aveva tempo o voglia di levarsi i vestiti di dosso, per paura che se solamente avesse toccato qualcosa in quell'equilibrio precario, si sarebbe sfaldata sotto le sue mani.
I passi silenziosi avevano riguardo di inesistenti ospiti sotto il pavimento, ma l'abitudine è dura a morire.
L'abitudine - di fidarsi degli uomini sbagliati - la stava ammazzando più veloce del previsto.
Il piccolo lavandino della camera la sostenne, in quella marcia interrotta verso la porta. Lo sguardo verde - torbide foreste in cui ha smarrito persino se stessa - sembrò perdersi sulla goccia che ritmicamente ticchettava sulla ceramica.

« Tu e Haggerty state insieme? »
« No. »

Ammetterlo ad alta voce per la prima volta, davanti ad Edwards - c'è lei adesso tra le sue braccia - le fece realizzare che quel qualcosa che c'era stato tra loro, in qualche strano - bellissimo - modo, era davvero finito.
E avrebbe voluto abbracciare la bionda dagli occhi sempre seri e mormorarle all'orecchio di volergli bene, di tirargli schiaffi quando se li merita. Di fare quello che a lei non era più concesso.
Invece le aveva sorriso, amara, e si era limitata ad ascoltare, a cambiare argomento.
Almeno quella volta, il Lupo aveva smorzato il rimpianto di quei giorni ormai lontani.
E adesso?
Guardò distrattamente il cortex poggiato sul lavandino sbeccato - quando ci era finito lì?
Muto, vuoto, esattamente come l'aveva lasciato solo qualche ora prima.

Le dita affusolate artigliarono il bordo del lavabo, se non si fosse appoggiata probabilmente le ginocchia le avrebbero ceduto, senza tregua.
Ma neanche la ceramica sotto i polpastrelli - sotto il peso di tutti quegli occhi neri - le poté impedire di accartocciarsi, su se stessa.
Improvvisamente non si era mai sentita così sola, accovacciata sul pavimento di una camera in affitto.
Qualcosa le strinse - doloroso, crudele - lo stomaco in maniera inequivocabile.
Il ronzio smise di tormentarle le orecchie.
E Aileen, ingoiando tutto l'orgoglio che le stava avvelenando l'anima, cominciò a piangere.

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